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Lettere 1945-1950

De: Cesare Pavese
Narrado por: Giuliano Bonetto
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Sinopse

Le lettere sono un altro spazio in cui trovare Cesare Pavese. Insieme alle traduzioni, alle poesie, ai romanzi e ai racconti, l'epistolario di Cesare Pavese rappresenta un ulteriore specchio in cui scoprire riflessa l'immagine dell'uomo, di quella costruzione di sé che ha caratterizzato tutto il percorso intellettuale dello scrittore. Uomo e scrittore. Ancora una volta, ci poniamo di fronte a questo suo ulteriore corpus letterario vestendo i panni del lettore: è lo scrittore stesso a chiedercelo costruendo il suo epistolario come se fosse un romanzo, un'opera poetica, una raccolta di brevi racconti. Cesare Pavese, infatti, raccoglie quasi maniacalmente le minute (le “brutte copie”) delle lettere spedite e le custodisce per tutta la vita insieme alle lettere ricevute. Quasi una cura editoriale per un epistolario che prende forma e volume nel corso degli anni e affianca, come un controcanto, lo sviluppo del suo percorso umano e intellettuale.

Le lettere di Cesare Pavese si collocano all'interno del solco creativo dello scrittore che vuole fare della sua opera uno strumento intellettuale di conoscenza e consapevolezza esistenziale, prima di tutto verso se stesso e in seconda battuta a disposizione del lettore, ultima tappa di questo viaggio di ricerca della propria appartenenza. Uomo e scrittore. All'interno di questa dialettica si pone tutta l'avventura esistenziale di Cesare Pavese, quasi che ogni nuova opera potesse essere per lo scrittore una nuova occasione di trovare l'uomo Pavese, la sua giovinezza intesa come mitica appartenenza a un'identità, a un destino. L'epistolario di Pavese non si sottrae a questa dinamica: quando Pavese scrive alla sorella da Brancaleone, la terra del confino, chiede che le sue missive vengano fatte leggere agli amici, quasi fosse alla ricerca di un pubblico, un palcoscenico, dove mostrarsi nella speranza di trovare qualcuno che noti la sua umanità più intima e insondabile. A Tullio e Maria Cristina Pinelli Pavese scrive, il 21 agosto 1950, pochi giorni prima del suicidio: "Io sono come Laocoonte: mi inghirlando artisticamente coi serpenti e mi faccio ammirare; poi ogni tanto mi accorgo dello stato in cui sono e allora scrollo i serpenti; gli tiro la coda, e loro strizzano e mordono. È un gioco che dura da vent'anni. Comincio ad averne abbastanza."

Lettere 1945-1950

È il tempo dell'epifania del Mito, dei Dialoghi con Leucò e de La luna e i falò, le opere più mature e importanti per la scoperta del Pavese scrittore e uomo. Sono diverse le lettere che Pavese dedica alle due opere, definendo La luna e i falò la sua "divina commedia", la summa di tutto il suo lavoro intellettuale, e i Dialoghi con Leucò l'opera più importante per comprendere il viaggio del Pavese scrittore verso il Pavese uomo. Sono anche gli anni del Premio Strega e della consapevolezza di quanto inutile sia la gloria se alla sua base non c'è un solido piedistallo di 'sangue', 'carne' e 'vita': tutta l'esistenza che il Pavese uomo ha sacrificato per diventare il Pavese scrittore.

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